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L'Arte e i 380 Volt


Concepita da Nikola Tesla, l’energia elettrica alternata che oggi arriva nelle nostre case è distribuita con una tensione di 220-240 volt e con una frequenza di 60 hertz. Questi dati, che per molte persone rappresentano poco o nulla, stabiliscono dei limiti importantissimi per la musica sperimentale dell’Impero della Luce.


Se è vero che la maggior parte dei dispositivi elettrici ed elettronici è provvista di “voci elettriche” differenti, si dovrà anche notare che chi si confronta con una specifica tensione – poniamo, come nel nostro caso, con quella della rete domestica – finirà sempre col restare confinato all’interno di una precisa gamma di frequenze, e dunque di suoni.


È proprio la volontà di scavalcare quel limite che ci ha spinti a investigare il fascino del suono della corrente industriale a 380 volt: provvista di frequenze capaci di andare dai 30 ai 300 hertz, la corrente industriale genera campi elettromagnetici con una elevatissima lunghezza d’onda e alimenta macchinari che difficilmente potremmo ascoltare nella vita casalinga di tutti i giorni.


Nell’estate del 2019, dopo aver esplorato con i nostri piccoli dispositivi a induzione elettromagnetica i suoni di piloni elettrici, di lampioni cittadini, semafori, sistemi d’allarme e chi più ne ha, più ne metta, abbiamo deciso di contattare una fabbrica che sentivamo essere incredibilmente vicina alla nostra poetica e che sapevamo avrebbe potuto comprendere e accogliere i nostri esperimenti.


Bonotto: Fabbrica Lenta e Fondazione per l’arte


Abbracciata dalle colline del vicentino, la fabbrica Bonotto non è un’industria qualunque ma riflette il mondo e gli ideali del suo principale creatore: da sempre appassionato conoscitore d’arte, Luigi Bonotto scopre in gioventù il concetto di oggetto con l’opera di Duchamp, si avvicina alla poetica musicale di Cage per poi innamorarsi della corrente Fluxus e della Poesia Concreta, Visiva, Sonora e performativa. È così che Molvena diviene il luogo di visita prediletto dei tanti amici artisti (tra gli altri: Philip Corner, Dick Higgins, Mieko Shiomi, George Brecht, Gianni Emilio Simonetti, Walter Marchetti…), personaggi che attraverso opere e azioni hanno contribuito a formare l’imponente collezione custodita tra le mura della fabbrica. Operai, artigiani e studiosi vivono ogni giorno immersi nell’arte contemporanea.


La storia della ditta a conduzione familiare “Bonotto” inizia a Marostica nel 1912 con la produzione artigianale di cappelli e articoli di paglia; la trasformazione dell’azienda si deve a Luigi Bonotto che nel 1972 fonda a Molvena l’attuale industria tessile a ciclo completo dedita alla creazione di stoffe per l’alta moda.


Il signor Bonotto è una creatura meravigliosa. È un elegante, umile, acutissimo signore di poche ma perfette parole. A Milano, alla fine degli anni Cinquanta, ha avuto l’occasione di giocare a scacchi contro Marcel Duchamp e di conoscere John Cage. È un caro amico di Yoko Ono e dei tanti artisti della corrente Fluxus che, negli anni d’oro, portava con sé persino alle riunioni di Confindustria, suscitando scalpore, scandalo e indignazione tra gli industriali. Personaggi come Ben Patterson erano di casa a Molvena, con buona pace dei vicentini che non vedevano per nulla di buon occhio gli stravaganti ospiti del signor Bonotto e le loro operazioni artistiche.


Nel corso della sua vita, il signor Bonotto ha raccolto una straordinaria collezione d’arte che oggi troneggia all’interno della sua fabbrica di tessuti. Capita così di passeggiare tra il fragore dei telai e di scorgere alle spalle degli operai rare opere di Dick Higgins e Joseph Beyus, partiture di Giuseppe Chiari o enormi opere di Yoko Ono. Video, installazioni, opere di neon art, sculture, tele, arazzi sono sparpagliate ovunque, nella classica fusione di arte-e-vita tipica della corrente Fluxus. I segreti della collezione sconfinano poi nel fornitissimo archivio: uno scrigno di partiture originali – che emozione toccare con mano Cartridge Music di John Cage! – lettere e cartoline, riviste, schizzi e rare pubblicazioni a disposizione di ricercatori, artisti e studiosi.



La nostra avventura in un mondo segreto di suono


Grazie all’accoglienza senza pari di Luigi Bonotto e Patrizio Peterlini, L’Impero della Luce ha potuto trascorrere tre giorni intensi e meravigliosi tra i tesori della fondazione e le roboanti voci dei macchinari preposti all’arte tessile. Guidati da Enrica, che pazientemente ci ha condotto attraverso le sale della Fabbrica Lenta, abbiamo ascoltato il suono segreto di telai, asciugatori, spolette, centraline elettriche…


Per quanto affascinante, non ci siamo soffermati sul suono percepibile dalle nostre orecchie: la nostra poetica e l’essenza stessa della nostra musica ci chiede di guardare oltre e di spingerci verso l’inudibile.


Attraverso le tecniche dell’induzione elettromagnetica abbiamo potuto così scoprire il “suono silenzioso” dei circuiti elettrici e dei campi elettromagnetici, una fantasia di trilli e variazioni armoniche che è possibili ascoltare solo attraverso particolari dispositivi: all’orecchio nudo del comune ascoltatore, nulla di quanto abbiamo registrato sarebbe stato manifesto.


Non si tratta dunque di un normale field recording, di registrazioni di fenomeni acustici udibili, ma della trasduzione dei suoni veri e propri della corrente elettrica e delle sue trasformazioni.




I campi elettromagnetici che abbiamo catturato provengono inoltre dalla numerose installazioni e opere d’arte allestite all’interno degli spazi della fabbrica: dai sibili dei monitor di Robot: the Baseball Player (1989) di Nam June Paik ai cinguettii della telecamera di sorveglianza del suo Voyeur Mail Box; dal suono familiare del neon dell’Omaggio a Jacopo da Ponte di William Xerra (2018) ai pizzicati di Mechanical Surmandal (1978) – arpa indiana automatizzata di Joe Jones – passando per gli schermi che trasmettono la performance realizzata da Philip Corner al Lanificio nel 1995 e Magnificent, l’ologramma realizzato da Alain Arias-Misson nel 2016.



Calcite, Onyx, Hawaii, Tabacco


Dopo tre giorni di lavoro abbiamo registrato materiale a sufficienza per comporre il terzo movimento del nostro primo disco, il Mare di Dirac; calcite, onyx, hawaii e tabacco sono quattro nomi di filati che la fabbrica di tessuti stava impiegando al momento della nostra visita.



Il brano dura 9 minuti, si struttura in diversi Momenti e conta solo due suoni che i nudi orecchi umani possono percepire: il fragore dei telai posti in apertura e le note dell’arpa di Jones, che si stagliano sullo sfondo a metà composizione.


Nelle fasi di organizzazione dei suoni e mixaggio degli oltre 50 frammenti che compongono la nostra opera, abbiamo deciso di non procedere con manipolazioni eccessive e di non utilizzare effetti sonori aggiuntivi, salvo un leggero effetto di riverbero imposto per dare omogeneità alla fusione dei diversi materiali. Le impressioni di panning, delay o flanger che possono essere udite nella nostra composizione, sono parte naturale del suono elettromagnetico catturato.


Calcite, Onyx, Hawaii e Tabacco si completa con l’opera visiva di eeviac, responsabile del video costruito attraverso delle riprese rese grafiche ed astratte con manipolazioni digitali per cercare un modo visuale di rappresentare per analogia la trasposizione del suono dal campo acustico a quello elettromagnetico. Enfasi puramente estetica, poiché la luce è già di per sé la manifestazione oculare di una piccola porzione delle spettro elettromagnetico.




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